Lo stile - Osvaldo Pugliese: Recuerdo

...una delle opere d’arte del nostro tango che perdurerà per sempre
Julio De Caro

Parlare di Recuerdo significa accostarsi all'opera di Osvaldo Pugliese, da molti considerato il musicista più importante nella storia del tango classico, tramite uno dei suoi brani più celebri e di maggiore influenza, nonché quello che vanta il maggior numero di interpretazioni. Le ragioni per cui Recuerdo è considerato una capolavoro assoluto risultano evidenti fin da primo ascolto: l'eccezionalmente ispirata linea melodica, il lavoro di contrappunto che intarsia la trama ritmica, la sua stessa innovativa struttura lo impongono quale modello insostituibile della più preziosa tradizione strumentale tanghera. Il poeta e scrittore Horacio Ferrer si spinge a tracciare un confine tra il mestiere del musicista di tango prima e dopo la pubblicazione di quest'opera. Se poi si riguarda a questo brano attraverso le lente dell'epoca in cui apparve, corre l'obbligo di sottolineare come Recuerdo si imponga all'attenzione dell'appassionato non soltanto da un punto di vista esclusivamente estetico, ma anche per l'importante apertura prospettica che rappresentò in ambito compositivo.

La composizione  e la pubblicazione

Come riportano le fonti più qualificate, la genesi del brano fu piuttosto particolare, e vale la pena di raccontarne qualche dettaglio.
Al riguardo, il lato meno appassionante è forse quello relativo alla dubbia paternità dell'autore, una questione che nel tempo ha prodotto numerose ricerche più o meno documentate. La pubblicazione dello spartito di Recuerdo, infatti, avvenne nel 1924 a nome del padre di Osvaldo, Adolfo Pugliese, modesto operaio e flautista dilettante, che si esibiva nei caffè di Villa Crespo insieme ai vari conjunctos (per lo più quartetti) che animavano il suo barrio a cavallo tra gli anni '10 e gli anni '20. Il fatto che questa pubblicazione porti il nome di Pugliese padre è all'origine delle non poche discussioni cui si è accennato, peraltro assai articolate ma con risultati perlopiù dubbi, laddove non contraddittori.

Lo stesso Osvaldo Pugliese ebbe modo di dire che la pubblicazione a nome del padre fu un fatto legato alle circostanze del momento.
In quel periodo mio padre attraversava un difficile momento professionale: lui era flautista e i quartetti della Guardia Vieja andavano abbandonando il flauto a vantaggio del gruppo composto da chitarra, bandoneón, violino e pianoforte. In breve si trovò senza lavoro, ed allora se ne inventò un altro: il commerciante di musica. Comprava partiture musicali e le rivendeva.[...] Una sera quando i miei genitori mi chiesero di suonare ancora una volta il tango "quello" , come ormai lo chiamavano loro, papà mi propose di pubblicarlo. Va bene, risposi, pubblicalo a tuo nome, [...] gli risposi in quel momento. Mio padre lo pubblicò e [...] lo fece con il suo nome.
Se pure si volesse porre attenzione al confronto tra le differenti opinioni alternatesi negli anni a seguire, pare difficile non ritenere definitiva l'osservazione che Luis Adolfo Sierra ebbe a scrivere nella sua Historia del Tango (Tomo 14), quando ricorda che
per quanto riguarda l'errore in relazione all'apparizione nelle prime edizioni del tango "Recuerdo" del nome di Adolfo Pugliese come autore del lavoro bisogna capire che si trattava semplicemente di una misura cautelare da parte dell'editore e del padre di Osvaldo Pugliese, data la sua minore età (aveva solo 19 anni), in un momento storico in cui non esisteva la la tutela giuridica dei diritti di proprietà intellettuale.
Da sottoscrivere è la conclusione:
... nessuno in buona fede, si chiede chi sia il vero autore
Più interessanti sono invece i vivi ricordi dello stesso Osvaldo Pugliese circa la gestazione e composizione del brano, avvenute in giovanissima età.
Ero un giovane [...] anche un po' grassottello, quanto potevo avere … 14, 15 anni ? Prendevo il tram numero 96 tutti i giorni, tra Rivera e Canning per andare al Café la Chancha dove suonavo per qualche soldo. Proprio lì, su un tram, con lo sferragliare assordante, mi venne la prima idea. Tornato a casa portai direttamente sul pianoforte la musica che avevo in testa, perché non sapevo ancora scrivere le note.
[...] A mio padre e ai miei fratelli piaceva molto quel tema, e quando stavo studiando seduto davanti al pianoforte venivano e mi dicevano: suona quello [...] quel tango era Recuerdo.
Il tempo in cui comparve la prima idea del suo capolavoro viene quindi situato da Pugliese attorno al 1919/20, anni in cui la Guardia Vieja dettava legge in termini di ritmo ed arrangiamento, secondo i canoni di una musica con pulsazione continua e struttura armonica senza troppe pretese.
Come vedremo, già questa prima parte di Recuerdo, che come dice l'autore non aveva ancora un titolo e che veniva chiamato familiarmente 'quello', consente di apprezzare il valore di un approccio musicale inusitato per i tempi. Fin dal suo incipit, che sappaimo essere rimasto invariato fin da questa prima stesura, il lavoro pare anticipare significativamente l'avvento della Guardia Nueva decareana, se non addirittura scavalcarla qualitativamente quanto a fecondità armonica e melodica.

Bisogna annotare che il giovane Pugliese era già in possesso di una buona cultura musicale, trasmessagli dal padre e dai due fratelli musicisti, ma anche strutturata fin da bambino dallo studio del violino. Quando il padre Adolfo riuscirà ad acquistare un pianoforte per il figlio, che aveva mostrato inclinazione particolare per questo strumento, Pugliese iniziò, quattordicenne, a prendere lezioni dal maestro Vicente Scaramuzza. Un anno dopo cominciò a suonare in un trio, e di lì a breve alternerà le serate nei locali della sua città con l'Orquesta della bandoneonista Francisca “Paquita” Bernardo alle ore di studio alla tastiera. Gli strumenti adeguati all'espressione del suo eccezionale talento gli furono infine forniti dalla preparazione teorica acquisita presso il Conservatorio di Villa Crespo, che Pugliese cominciò a frequentare nel 1919.
A distanza di qualche anno dalla prima bozza di Recuerdo, il brano fu terminato con gli stessi caratteri di occasionalità improvvisa che l'avevano generato. È lo stesso Pugliese a raccontarlo.
La seconda parte di Recuerdo la composi due o tre anni dopo, all'improvviso, mentre camminavo in Calle Acevedo. Uno compone un motivo, lo abbandona, e dopo un pò lo riprende, e così lo smussa, lo migliora, lo trasforma in qualcosa che gli piaccia veramente. Lo ultimai nel '24, nel periodo in cui studiavo molto il piano, sette otto ore al giorno.
Le prime incisioni

Recuerdo era così compiuto, e fin dalle prime esecuzioni nei caffè riscosse un immediato interesse da parte del pubblico. Ancora Pugliese ricostruisce i primi passi del suo brano nell'ambiente tanghero, da quando il padre affidò la partitura ad un cugino della moglie, Juan Brava.
Pedro Laurenz Orquesta con Pugliese al pianoforte 
Juan Brava, che suonava con un trio ed un quartetto, fu il primo ad eseguire in pubblico Recuerdo, presso  il café Mitre. E da quel momento cominciarono a parlare del mio tango. In quel periodo suonavo nel café ABC di Villa Crespo a Buenos Aires, con Enrique Pollet, detto 'El Francesito', con Herminio Macchiano, un ragazzo al quale mancavano entrambe le gambe, al bandoneón, e con un altro ragazzo, Terragna, al violino. Proprio in quel posto Pedro Laurenz, amico di Pollet, lo ascoltò e decise di portarlo all'orchestra di Julio De Caro, di cui era bandoneonista.
Fu quindi Laurenz a chiedere uno spartito manoscritto a Pugliese ed a portarlo a Julio De Caro, che ne rimase entusiasta. Molti anni dopolo stesso De Caro avrebbe detto che
Recuerdo  è una pietra miliare nella composizione del Tango, col suo imprevisto svolgimento melodico, con i suoi colori del suono, con l'abilità dei cambi di tonalità, gli arpeggi opportuni e l'originalità della sua variazione. Insomma un'opera d'arte del nostro Tango che perdurerà per sempre.
La prima registrazione di Recuerdo si deve al suo Sexteto Tipico, che lo incise il 9 dicembre del 1926. Fin da questa prima uscita su disco il brano si impose per la sua forza espressiva e per la portata innovativa delle scelte stilistiche che ne avevano presieduto la composizione, ma anche in ragione di un'interpretazione rimasta classica.

Recuerdo, Sexteto Tipico Julio De Caro, 1926


La versione di De Caro, un perfetto esempio del suo stile interpretativo, rileva appieno il carattere d'avanguardia, per l'epoca, del brano di Pugliese: in prima battuta da un punto di vista estetico, grazie alle capacità di arrangiamento del suo Sexteto. Non a caso l'orchestrazione di De Caro fu mutuata da molti altri interpreti di Recuerdo, nonché dallo stesso Pugliese quando lo incise nel 1944.

Il carattere innovativo del brano salta facilmente all'orecchio affiancandogli le incisioni che nella stessa epoca andavano realizzando i più celebrati esponenti della guardia vieja: il chiaroscuro espressivo, quasi del tutto trascurabile nelle esecuzioni dei contemporanei, acquista qui un'importanza rilevantissima; la modulazione armonica, il contrappunto e il sapiente controllo dei tempi risultano del tutto nuovi nel panorama musicale del periodo.

Si prenda ad esempio un altro brano inciso nel 1926, Sentimento Gaucho dell'Orquestra di Francisco Canaro, quale buon esempio delle consuetudini musicali in voga in quegli anni.

Sentimiento Gaucho, Orquesta Francisco Canaro, 1926


È soprattutto nel colore del suono che  i due brani si differenziano, ovvero in ciò in cui consiste la qualità stessa della musica. Il rilievo quasi assente nell'esecuzione di Canaro, preoccupato più della scansione del tempo e dell'esposizione 'orizzontale' della melodia, è invece evidentissimo in Recuerdo. Di più, è proprio l'intento dell'autore, perfettamente accolta dall'arrangiamento decareano, a rivelarsi decisamente differente: il timbro, i modi d'attacco, le variazioni dinamiche, le accentuazioni, la stessa articolazione della melodia connotano azioni, suggeriscono intenzioni, ovvero propongono un atteggiamento di raffinatezza psicologica e sentimentale praticamente assente in Sentimiento Gaucho.

Oltre alle considerazioni musicali, è da segnalare il grande successo che questa prima incisione riscosse presso il pubblico. Le cronache dell'epoca riportano che nei locali dotati di grammofono il Recuerdo inciso da De Caro fosse reclamato più volte durante la serata, a conferma della rara qualità di saper realizzare opere artisticamente formidabili ed al contempo amatissime dal pubblico delle milonghe, qualità che tutti gli appassionati riconoscono a Pugliese. Recuerdo rappresentò da subito, quindi, il modello di un nuovo tango strumentale ricchissimo sia per i musicisti che per i ballerini.
Quella di De Caro fu solo la prima di numerosissime interpretazioni di Recuerdo. Hugo Di Carlo, l'Orquesta Típica Víctor, Eduardo Bianco fecero seguire le proprie versioni negli anni immediatamente successivi a quella di De Caro; in breve i musicisti che si  cimentarono con il brano di Pugliese divennero numerosi, Francisco Lomuto, Anibal Troilo, Ricardo TanturiDomingo FedericoHoracio Salgán tra gli altri. Recuerdo continuò e continua ad affascinare i musicisti di tango, che vi si sono avvicinati quasi sempre con il rispetto ed il talento che esige una delle opere fondamentali della propria musica. Ascoltiamo, tra le tante, l'interessante versione di Ricardo Tanturi.

 Recuerdo, Orquesta Ricardo Tanturi, 1942


 Qualche tempo dopo la pubblicazione, Eduardo Moreno scrisse un testo per Recuerdo. A onor del vero, fornire questo tango di una parte cantata pare del tutto superfluo, in primo luogo perché nulla aggiunge alla sua mirabile forma strumentale, e poi perché il letrista non fornì gran prova delle sue doti di poeta in questa occasione. Tuttavia rimangono alcune versioni cantate di Recuerdo, tra le quali una incisa dallo stesso Pugliese con Jorge Maciel alla voce nel 1966.

La struttura melodica di Recuerdo

  
Da un punto di vista generale, un tratto vistoso dell'impianto melodico di Recuerdo risiede nel suo essere poco scontato, poco prevedibile, specie se affiancato a quasi tutta la produzione tanghera coeva. In qualche modo si può dire che il brano si dipani in una forma più 'narrativa' che di immediata ballabilità, volto com'è a raccontare un insieme di sensazioni in chiaroscuro. L'incipit del discorso musicale, cui si dedica il celebre tema delle prime sedici battute, presenta l'imprevisto svolgimento melodico che caratterizza Recuerdo.

Come detto, il brano si conferma fin dal suo principare quale atto di rottura rispetto ai canoni musicali del tango degli anni '20, dedito più alla scansione asciutta ed alla semplicità dell'esposizione musicale che a sfumature espressive di rilievo. In queste prime frasi Pugliese varia sapientemente le tonalità, alternando pause, rallentamenti e accelerazioni su una solida struttura ritmica di base, punteggiata di sincopi, 'raccontando' il primo tema del brano attraverso una suggestione melodica di grande impatto affidata ai violini.
Le successive sedici battute realizzano un tema diverso, ritmicamente più morbido, sviluppato nel registro centrale, a metà strada tra la regione bassa presidiata dal contrabbasso e dalla mano sinistra del pianoforte e la regione acuta, affidata ai bandoneones. Quest'ultimo strato sonoro è particolarmente interessante, sviluppando raffinatissimi arpeggi a due voci alternati a frammenti melodici che disegnano il contrappunto alla melodia principale. 

Il risultato di questo incastro è di gran fascino, anche per la sensazione piuttosto 'da improvvisazione' che gli elementi di contrappunto donano all'ascoltatore. In qualche modo si potrebbe dire che gli elementi acuti posti ad ornare la melodia di questo secondo tema paiono dare l'impressione di essere casuali, non studiati; in realtà sono parte integrante ed essenziale al fluire melodico: pare difficile immaginare questa seconda parte senza le felici articolazioni delle due voci sui toni alti. Tant'è vero che tutti gli interpreti di Recuerdo li hanno rispettati quasi fedelmente, affidandoli, come fece Pugliese stesso, ai bandoneones.


La conclusione del brano viene affidata ad un terzo tratto melodico, quello del trio (come viene indicato in fondo alla stessa partitura), ovvero ad una sezione assai ritmica realizzata da tre voci di bandoneon. In particolare, si noti (nella versione incisa dall'autore), le belle variazioni eseguite sulla ripetizione di questo terzo tema, ancora una volta di ottima fattura armonica e di grande impatto espressivo. Come si può facilmente appurare, quella appena esposta è una struttura assai inusuale nel tango degli anni '20, e non soltanto per l'atmosfera e la profondità, diremmo oggi, che riesce a comunicare all'ascoltatore. 

 Rimanendo ancora un momento sul tema delle fasi melodiche del brano, infatti, è da notare come il primo tema, quello d'apertura affidato ai violini, non viene ripetuto, come era consuetudine nel tango, ma invece proprosto una sola volta lungo le prime sedici battute. La seconda parte, col suo tema delicato ed elegante, si stacca pittosto decisamente (ed inusualmente) dalla prima, producendosi in un ambito più meditativo nonché assai cantabile. 
Tuttavia pare essere questa la sezione del brano più gravida di frutti per il futuro della musica bonaerense, grazie a quella sorta di dialogo tra la melodia principale ed i bandoneones di cui s'è detto, e che spicca per la coloritura sonora e la qualità delle variazioni. Infine, il brano va a chiudersi con le due frasi eseguite in trio, come detto, ma, ancora in modo non comune, composte da dieci battute l'una. Si aggiunga ancora che l'incalzante variazione finale dei bandoneones non era affatto in uso nei tanghi dell'epoca.

Pugliese con i suoi bandoneonisti alla fine degli anni '40
Da queste rapide osservazioni può apparire più chiaro il senso di stacco innovativo che Recuerdo produsse nei suoi primi ascoltatori. È oltremodo significativo che Astor Piazzolla, quanto mai avaro di apprezzamenti di maniera, si sia riferito al tango dell'amico Pugliese affermando che
...ascoltando Recuerdo non c'è alcun dubbio che basterebbe qualche piccolo trucco per trasformarlo in tango d'avanguardia
Le ragioni che presidiarono a questo modo nuovo di intendere la composizione tanghera furono diverse, e tra esse sicuramente pesò la competenza tecnica e teorica del giovane pianista (alcuni accostarono il primo tema a reminiscenze schumaniane, altri ravvisarono nel crescendo finale la lezione di Rossini). Tuttavia quel che in questa realizzazione pare di tutta evidenza è soprattutto un talento musicale che sta prima e oltre la tecnica compositiva, ovvero quella straordinaria capacità di tradurre in musica la ricchezza interiore che accompagnerà Pugliese sino all'ultimo arrangiamento della sua vita.

Pugliese interpretato da Pugliese

Pugliese nell'Orquesta di Pedro Maffia

L'autore di Recuerdo incise la prima versione di questo tango vent'anni dopo averlo composto.  L'11 agosto del 1939 l'Orquesta Típica Pugliese aveva debuttato al cafè El Nacional, apportando nell'ambiente tanghero un originalissimo tenore interpretativo. La costituzione di una propria Orquesta finalizzava un percorso ormai più che ventennale, che aveva portato il pianista, dopo le prime esperienze in trio e con l'Orquesta di Francisca Bernardo, a suonare per Pedro Maffia, poi con il violinista Elvino Vardaro nel Sexteto che portò il loro nome, e quindi come strumentista accanto a nomi che sarebbero divenuti leggendari, come Pedro Laurenz, Miguel Calò ed Anibal Troilo, nonchè formando un formidabile duetto col violino di Alfredo Gobbi. Pur essendo apprezzatissimo dai musicisti, quindi, Pugliese rimase sconosciuto al grande pubblico fino al 1939.

 L'Orquesta che attraverso differenti formazioni accompagnò Pugliese per tutta la vita, si affermò come una delle più importanti di tutti i tempi. Avvalendosi di Osvaldo Ruggiero come primo bandoneon, Enrique Camerano al primo violino e Aniceto Rossi al contrabbasso, l'Orquesta espresse fin dall'esordio nella cifra del tempo rubato e della sincope una particolarissima marcazione ritmica. Il debutto discografico avvene nel luglio del 1943, quando furono incisi Farol e El Rodeo. 

Farol, Orquesta Osvaldo Pugliese, canta Roberto Chanel, 1943

Fin dai primi documenti sonori, lo stile dell'Orquesta di Pugliese si afferma nel suo suono inconfondibile. A partire dalla lezione decareana, lo stile di Pugliese fa larghissimo utilizzo della sincope, nonché della tecnica del rubato che, in particolare negli assoli dei bandoneónes, conferiscono all'esecuzione un effetto drammatico particolarissimo tenendo la nota leggermente più a lungo del previsto.

 Flor de Tango, Orquesta Osvaldo Pugliese, 1945

Come è stato ampiamente osservato, il modo di suonare di Pugliese unisce una perfetta ballabilità ad una struttura armonica di particolare e raffinata complessità. Accanto al gusto melodico, di cui Recuerdo è un esempio palmare, è inevitabile accennare alla caratteristica strutturazione ritmica ed armonica delle sue composizione e dei suoi arrangiamenti, un modo di suonare il tango tramite cui gli elementi del linguaggio musicali non paiono mai semplicemente sovrapposti o affiancati, esprimendo piuttosto un senso di straordinario equilibrio ed al contempo di grande forza espressiva.

Orquesta Osvaldo Pugliese (anni '50)
Nell'interpretazione di Pugliese un elemento ritmico non è mai soltanto tale, ma assume quasi una valenza melodica, così come le strutture armoniche giocano al servizio dell'impianto ritmico. L'accentuazione della sua Orquesta si realizza infatti in una stratificazione di strutture sonore, determinando un sottile meccanismo in cui le differenti sezioni strumentali intarsiano la musica tramite una varietà di stili ed effetti espressivi.
Queste trame sonore, sempre di grande effetto ed eleganza, si dipanano su una traccia ritmica, o meglio poliritmica, ben nota agli appassionati, che vede il primo ed il terzo tempo delle battute pesantemente sottolineate a scapito del secondo e quarto tempo, attenuati ed affidati perlopiù alla parte bassa della tastiera del pianoforte ed al contrabbasso. È il celebre effetto 'yum-ba', come lo stesso direttore chiamò l'aspetto saliente della sua ritmica strumentale. Sebbene De Caro e Di Sarli, con differenti posture espressive, avessero già introdotto una forte marca sul primo e sul terzo tempo, Pugliese portò all'estremo questo tipo di accentuazione, introducendo un arrastre previo che fornisce la sensazione di un 'trascinamento' due volte ogni battuta.
L'archetipo più limpido di questa impostazione lo si trova certamente ne La Yumba, ma Pugliese vi rimase fedele lungo tutta la sua attività, tanto che si potrebbe scegliere una qualsiasi delle sue centinaia di interpretazioni  per averne plastica evidenza.

Quejumbroso, Orquesta Osvaldo Pugliese, 1959

Nell'ambito di questa breve disamina stilistica, che dovrà essere ripresa ed approfondita altrove, è necessario almeno menzionare la maestria con cui Pugliese riesce ad accelerare e rallentare il tempo d'esecuzione (slargando e slentando); l'ascoltatore ricava l'impressione che la musica suoni uno spartito su cui le note non sono segnate tutte alla stessa maniera, ma che debordino un pò prima, e a volte un pò dopo, il loro punto di attacco, quasi avessero raccolto in maniera differente l'inchiostro dello stilo del musicista. Sono davvero molti quelli che guardano al risultato di questo lavoro come ad un'espressività senza pari nella storia del tango. In qualche modo si può dire che nella musica di Pugliese composizione, arrangiamento e interpretazione orchestrale paiono fondersi in una sola entità, tanto da rendersi indistingubili; e tuttavia lasciando la massima libertà interpretativa alle distinte voci dell'orchestra, di cui anzi si impreziosisce ogni adattamento strumentale.

La Beba, Orquesta Osvaldo Pugliese, 1972

Ora, l'interpretazione di Recuerdo del 1944, la prima delle quattro che Pugliese ci ha lasciato, esplicita questi elementi stilistici, che abbiamo visto essere costanti nel lavoro del pianista e direttore. In particolare, ci troviamo nel caso in cui la cifra di Pugliese si intreccia all'eccezionalità melodica della sua composizione giovanile.

Recuerdo, Orquesta Osvaldo Pugliese, 1944




Pur tenendo conto del grande valore musicale di molti suoi interpreti, nelle esecuzioni del suo autore il brano estrinseca nella maniera più chiara la sua ricchezza, proprio per quell'ineguagliata capacità di tenere vicinissime, fuse insieme si potrebbe dire, le esigenze di accentuazione ritmica e il raffinato apparato di elementi espressivi di cui s'è detto.

Pur non approfondendo qui le tematiche dell'interpretazione e degli arrangiamenti, che nel caso di Pugliese rivestono un'importanza ed un interesse massimi, è bene additare l'eccezionale capacità che il suo stile ha nel rivelare la valenza sentimentale dei brani interpretati, attraverso un'amplificazione dell'accento drammatico che non scade mai in melodramma né utilizza espedienti facilmente patetici. E questo vale a maggior ragione per i brani di sua composizione, tutti invariabilmente di eccellente qualità, e quindi anche per Recuerdo.

Oltre ai tratti legati all'aspetto tecnico del brano di cui s'è detto, ed al di là del valore intrinseco dell'invenzione rappresentata da Recuerdo, pare in ultimo interessante notare il 'taglio' di arrangiamento che Pugliese ha voluto dare del suo brano. Come l'ascoltatore ha potuto notare, la versione del 1926 di Julio De Caro si struttura nel ripetere due volte le tre sezioni del brano, secondo uno schema

primo tema - secondo tema - terzo tema - primo tema - secondo tema - terzo tema

La versione di Pugliese del 1944 articola in maniera diverse le fasi, ripetendo solo il primo ed il secondo tema, e poi chiudendo con il trio, secondo lo schema

primo tema - secondo tema - primo tema - secondo tema - terzo tema

Questa scelta pare più vicina agli intendimenti del tango, e la maggior brevità restituisce forse all'ascoltatore un senso di fugacità che ben si attaglia con le intenzioni espressive più profonde del brano. Seppure queste considerazioni possano per loro natura essere determinate più dalla soggettività dell'ascoltatore che da elementi oggettivi, rimane vero che gli arrangiamenti che l'autore realizzò negli anni non smentirono la sua prima realizzazione.

E l'ultima versione rimastaci, modificata nella struttura per offrire una volta sola ogni tratto melodico al pubblico, pare rafforzare questi sentimenti. L'esecuzione è quella che l'ottantaquattrenne Pugliese realizzò dal vivo in un memorabile concerto ad Amsterdam del 1989.
Essa pare segnare il culmine estetico e stilistico del pianista nell'eseguire il suo ormai remoto primo successo.


In questo suo ultimo ed appassionato arrangiamento di Recuerdo Pugliese, in luogo della ripetizione delle due prime parti, introdusse una sospensione quasi totale, giusto prima dell'ultima frase finale, un quasi silenzio abitato solo dal richiamarsi in pianissimo dei violini e del pianoforte su un'unica nota ribattuta. Un piccolo capolavoro nel capolavoro, tra gli ultimi e più emozionanti regali di un grande artista.

Recuerdo, Orquesta Osvaldo Pugliese, en concierto 1989

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Il tango - Mala Junta

Il tango ai tempi di Mala Junta

I primi anni ’20 videro l’imporsi della figura di Julio De Caro e della sua opera di sicura discontinuità stilistica rispetto all’ambiente musicale allora in voga. In quell’epoca il tango si riconosceva in schemi caratterizzati da una concezione musicale e da una realizzazione strumentale assai semplici, come tanta parte dei documenti sonori rimastici consente facilmente di dimostrare.

Naturalmente gli anni in cui De Caro andò formandosi come musicista - il suo primo impegnò fu come integrante nell'orchestra di Edoardo Arolas nel 1920 - non erano più quelli del pionierismo a cavallo dei primi anni del secolo, giacché le esecuzioni avevano lasciato la strada per approdare nelle sale dedicate ed i conjunctos composti da strumenti facilmente trasportabili avevano da tempo lasciato il posto all’Orquestra Tipica. L’introduzione del contrabbasso e del cantante, per merito di Roberto Firpo e Francisco Canaro, erano andati definendo la forma precisa di quel suono che ancora oggi viene apprezzato da molti appassionati.
Tuttavia l’opera di De Caro rappresenta un discrimine nella storia del tango, vuoi per ragioni prettamente legate alla competenza musicale del direttore e dei suoi musicisti, vuoi per una capacità espressiva lontana da quella delle orchestre coeve al suo celebrato Sexteto Julio De Caro.

La preparazione di De Caro, originata da studi regolari presso il Conservatorio e poi cresciuta negli anni giovanili accanto a musicisti di sicuro spirito innovativo, come Eduardo Arolas, Juan Carlos Cobian, Enrique Delfino e Osvaldo Fresedo, venne dispiegandosi completamente quando fondò un’orchestra composta da musicisti di pari livello tecnico, capacità ed inventiva. In ragione di queste particolarità, De Caro e la escuela che a lui fece riferimento furono da subito riconosciuti come nuovo inizio del tango, portatore fecondo di tendenze evoluzioniste cui tanta parte dei musicisti che seguirono nel tempo guardò con riconoscenza.
È proprio a questa rottura che si deve la definizione di guardia vieja in riferimento al tradizionalismo di cui era intrisa tanta parte della musica contemporanea a De Caro, e, dall'altro lato, l'assorbimento della sua inventiva e del suo modo di ricercare una vieppiù maggiore ricchezza musicale fece riconoscere molti artisti in quell'altra guardia che, da allora, si usa definire nueva.

Uno dei brani più famosi di De Caro, Mala Junta, esprime perfettamente lo spirito, nuovo per l’epoca, di intendere il tango. Al tempo in cui fu composta, il violinista e direttore era già un musicista di fama. L’incisione avvenne il 13 settembre del 1927, quando il suo Sexteto era appena tornato in patria dopo una serie di celebrate serate al Copacabana Palace di Rio de Janeiro. In quell’occasione De Caro aveva presentato il brano Terra Querida, per tanti versi assai vicino a Mala Junta, che invece venne eseguita probabilmente per la prima volta il 15 settembre in un’esibizione nel cinema Select Lavalle.

Struttura

Il pezzo è firmato da Julio De Caro e da un giovane Pedro Laurenz, all’epoca bandoneonista del Sexteto. Seppure all’epoca fosse molto giovane, Laurenz aveva saputo legare molto bene con il primo bandoneonista dell’orchestra, quel Pedro Maffia ancora oggi considerato in una luce quasi mitologica; ma soprattutto aveva saputo supportare il talento di De Caro sia dal punto di vista degli arrangiamenti che dal punto di vista compositivo. Ne è un esempio Orgullo criollo, dove il virtuosismo del violino di De Caro intrecciato al bandoneón di Laurenz pare anticipare la realizzazione di Mala Junta.

L’apertura di Mala Junta è affidata ad una melodia fischiettata in due tempi, e ad un semplice accompagnamento di pianoforte, e già questo incipit appare interessante. Il tango, con le sue caratteristiche inconfondibili, deve ancora arrivare, non ci sono sincopi, non compare il bandoneón; si respira piuttosto un’atmosfera di strada, con voci, risate e fischi, che funge un pò teatralmente come introduzione al pezzo vero e proprio. Ciò denuncia anche strutturalmente la distanza della musica di De Caro con l’impostazione tipica della guardia vieja, una rottura che ad alcune orecchie del versante tradizionalista sarà parso fin provocatorio.

Eppure è con il sopraggiungere del bandoneón che il brano dispiega quella forza e quel talento che ha indotto praticamente tutte le grandi orchestre a porre questo tango nel repertorio. Laurenz infatti ricama un contrappunto in sedicesimi su un accompagnamento orchestrale sincopato di grande effetto, con un colore che oggi definiremmo classico. La tecnica è sicura, il suono energico e brillante, l'effetto è ballabile ma anche musicalmente pregevole. La struttura del pezzo si articola nel passaggio tra questa parte ritmica ed una parte melodica dove, successivamente al prezioso intreccio tra il frizzante bandoneón di Laurenz e quello più misurato e malinconico di Maffia, si mette in luce il virtuoso violino di De Caro.

La velocità è ben dosata dai musicisti, con alcune ricercatezze ritmiche che danno l’impressione di abbandonare il normale tempo in due quarti. Bisogna annotare che la sezione ritmica svolge un ruolo anche melodico un pò in tutta l’esecuzione, con i violini comunque rigorosi nel segnalare i quarti delle battute, ed infine una quadratura certa identificata al termine di ogni sezione: la caratteristica cadenza perfetta del tango, le due note che ribadendo dominante e tonica fungono da segnale di chiusura.

Il finale del brano è un’esaltazione del vituosismo dei bandoneonisti, che intrecciano veloci variazioni di grande effetto con il violino di De Caro impegnato ad eseguire il controcanto. Si noti, in chiusura, il rallentamento ed infine la sospensione ritmica tra le ultime due note, una cadenza che diventerà la firma di altri musicisti, come Calò, Tanturi, Maderna, e soprattutto Pugliese.

Julio De Caro registrò altre due versione di Mala Junta, nel 1949 e nel 1953. Ecco l'interpretazione del 1927.

Mala Junta, Sexteto Julio De Caro, 1927

Pedro Laurenz reinterpretò Mala Junta in una scintillante versione con la sua Orquestra Tipica, nel 1947.

Mala Junta, Pedro Laurenz y Su Orquestra Tipica, 1947


Tra le altre interpretazioni che la storia del tango ci ha lasciato, proponiamo quella che Osvaldo Pugliese, grande ammiratore di De Caro, registrò negli anni '50 vestendola del suo stile inconfondibile.

Mala Junta, Orquestra Osvaldo Pugliese, 1953

Un paradigma per la guardia nueva

Al netto delle osservazioni prettamente tecniche, che pure sono importanti nel definire quanto sostanziale sia lo spartiacque rappresentato da questo musicista con il tango che l’aveva preceduto, è bene sottolineare il colore e più in generale il suono che fanno di questo brano un esempio eminente dello stile di De Caro e più in generale un punto di snodo nella storia del tango.

Al sapore di Mala Junta contribuiscono in maniera fondamentale i bandoneonisti, diversi per temperamento e stile, come si è detto, ma il cui lavoro ben si armonizza nel risultato finale. Ciò che pare più importante a tal riguardo è che questo brano dimostra il raggiungimento della piena maturità del bandoneón nel tango: grazie alla capacità interpretativa e alla consapevolezza tecnica di Maffia e Laurenz, lo strumento principe delle orchestre si affranca definitivamente dal non raro dilettantismo del tango degli inizi.

Allargando lo sguardo sull’intera esecuzione, è notevole l’intento di far alternare le parte solistiche tra tutti gli strumenti. Oltre ai già citati bandoneón e violino, si evidenziano i lunghi passaggi a solo di pianoforte, suonato dal fratello di De Caro, Francisco. In particolare, si noti l’assolo condotto tutto nella parte alta della tastiera, che produce un effetto piuttosto curioso, quasi se a suonare fossero della campanelle o un carillion. In questo senso si riafferma quella commistione tra sentimento popolare e giocoso, di cui si era detto a proposito dell’introduzione ‘fischiata’, ed i canoni più ‘seri’ del tango, a sottolineare la natura di rottura di questo brano rispetto alla tradizione.

Quest’ultimo punto pare essere di particolare rilevanza nella caratterizzazione di Mala Junta; la parte giocosa viene ripetuta durante il brano, le risa emergono qua e là anche fuori da questa parte, la stessa nettezza dell’alternanza tra modo minore e modo maggiore lungo tutto il pezzo rafforza la sensazione di una classicità (tanguera, s’intende) che s’apre all’informale e che, comunque, allarga le maglie di certi stereotipi musicali e non solo che innegabilmente la guardia vieja recava con sé.

Un altro aspetto di sicuro interesse, specie per l’epoca, è la cura dinamica che Mala Junta esprime, con l’introduzione di frequenti cambi delle intensità sonore allo scopo di rendere il suono più ricco ed espressivo. A questo obiettivo contribuisce anche la già accennata e variegata inventiva ritmica, che consente di abbandonare la monotona scansione normale per episodi ricchi di accenti spostati e sincopi, ma anche tramite il rifiuto di quello che all’epoca era quasi un’ossessione, ovvero la marcazione di ogni tempo della battuta.

A onor del vero, l’elemento che appare un pò datato è proprio il violino del direttore. La moda dell’epoca indugiava spesso in portamenti, ovvero nello strisciare le dita sulla corda tra un tono e l'altro, il che genera il suono un pò miagolante tipico di alcuni ambiti di utilizzo di questo strumento. Seppure gli interventi di De Caro (e del suo secondo violinista) siano musicalmente assai apprezzabili, bisogna dire che questo stile abbonda nell’esecuzione del 1927, rendendo la parte solista del violino meno godibile di altre esecuzioni più moderne e articolate.

Una curiosità in relazione allo strumento di De Caro sta nel fatto che, per la prima volta, Mala Junta vede l’utilizzo non del classico violino ma del violin corneta, una variazione senza cassa acustica e con una vera e propria cornetta studiata da un tecnico della casa discografica Victor per poterne amplificare il suono, dandogli contestualmente un timbro piuttosto nasale ed alcune curiose possibilità d’effetto. Seppur utilizzato in alcune orchestre jazz dell’epoca, lo strumento non trovò ulteriore seguito nel tango.
In questo filmato della fine degli anni '20 il Sexteto esegue Nostalgias con Julio De Caro al violin trombeta.

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Lo stile - Carlos Di Sarli

"Se volete sentire del buon tango, ascoltate quello di Di Sarli "
Anibal Troilo
Gli anni '40 rappresentarono sicuramente un momento unico nella storia del tango. Tra Buenos Aires e Montevideo si dice operassero 600 orchestre in quegli anni, in proliferazione costante a partire dalla 'rivoluzione' di D'Arienzo che, pochi anni prima, portò grandi masse di ballerini nelle milonghe.
Nell'ambito della naturale competizione che si andò determinando tra le diverse orchestre, fu piuttosto normale che le nuove idee di arrangiamento dovute a questo o quel musicista fossero rapidamente adotatte dai concorrenti con l'evidente intento di contendersi le simpatie del pubblico delle milonghe.
La principale conseguenza di questa situazione fu una certa omogeneità di suono che, al netto dei preziosi risultati di quella decade, caratterizzò quasi tutte le orchestre di tango dell'epoca.

Il pianista e direttore Carlos Di Sarli rappresenta una vistosa eccezione in questo panorama. Lungo la sua trentennale attività rimase fedele ad un 'suono' riconoscibilissimo ed inimitato. È infatti difficile individuare un altro musicista che abbia saputo combinare la cadenza ritmica del tango con una struttura armonica in apparenza semplice, ed invece così ricca di sottigliezze e sfumature.

Il suono Di Sarli

Fin dalle prime registrazioni il pianista dimostra un buon equilibrio formale negli arrangiamenti, che peraltro risentono dell’influenza della figura dominante dell’epoca, Francisco Canaro.

Tuttavia, fin dagli anni del suo primo Sestetto, Di Sarli non seguì né l'una nè l'altra delle tendenze tanghere in auge negli anni '30, ovvero quella tradizionalista di Canaro e Firpo e quella evoluzionista facente capo a Julio De Caro. Si impose piuttosto con un marchio stilistico ed una personalità propri, poi mantenuti in tutta la sua attività. I documenti sonori che testimoniano l'attività tra il 1927 e il 1931 denunciano il debito del primo Di Sarli alla musica di Osvaldo Fresedo, che fu suo maestro e di cui rimase sempre un fervido ammiratore.

Maldita, 1931

Se è pur vero che Fresedo fu una figura probabilmente essenziale per il futuro del pianista, è bene considerarlo come un precursore di Di Sarli, ovvero un necessario passaggio per approdare ad uno stile che alfine si impose come esistente a sé stante e non riconducibile ad altro.
L’affermazione definitiva del suo stile avviene negli anni ’40, con grande spazio lasciato alla melodia dei violini; il bandoneon è per lo più relegato alla sezione ritmica, o al più al canto della melodia.

Cara Sucia, 1957

Tra i rarissimi assoli è da ricordare quello virtuosissimo del bandonéonista uruguaiano Federico Scorticati ne El Choclo.

El Choclo, 1957

Sebbene tra la fine degli anni trenta e l’inizio dei quaranta anche l’esecuzione di Di Sarli fu in parte influenzata dal darienzismo imperante, già a metà della decade lo stile trattenuto che lo ho reso famoso riprende il sopravvento, per non modificarsi più fino agli ultimi anni di attività.
Tuttavia il periodo caratterizzato con un tempo più velocizzato, che comunque non tocca nulla della struttura stilistica di Di Sarli, ci ha consegnato brani pregevolissimi, come Corazón, con la voce di Roberto Rufino.

Corazón, canta Roberto Rufino, 1939

Un aspetto di tutta evidenza è quello ritmico. Di Sarli adotta prevalentemente un ritmo che scandisce l’inizio e la metà della battuta, accentuando ed articolando assai spesso tutte le semicrome tra un quarto e l’altro, con lo staccato dei violini ed i bandoneones. L'arrangiamento seguente di Comme il Faut mostra bene quest'ultima caratteristica della sonorità di Di sarli.

Comme il Faut, 1955

Il risultato di questo modo di scandire il ritmo è l’accentuazione di una sensazione di lentezza, che rende il sapore delle esecuzioni sempre piuttosto solenne.
In sintesi, è possibile dire che le varie formazioni orchestrali di Carlos Di Sarli sono invariabilmente adattate ad uno schema prestabilito, il cui interesse sonoro risiede in una gamma di sfumature molto precise e, nello stesso tempo, molto sottili. Questo spettro di sfumature, nell’ambito di una pienezza armonica non comune, si precisa in studiatissime alternanze tra gli staccati ed i legati, tra i crescendo ed i pianissimo.

A La Gran Muñeca, 1954

Il colore inconfondibile del suono di Di Sarli è quindi legato da un lato ad una certa omogeneità della struttura strumentale, e dall'altro sicuramente alla sua inimitabile conduzione pianistica.

Il pianismo di Di Sarli
Di Sarli fu un pianista di talento, sicuramente uno dei più importanti della storia del tango. Diresse la sua orchestra dal pianoforte, seduto allo strumento, dal quale dominava la sincronia e l'esecuzione di tutti i musicisti. Si è già detto che nel suo schema orchestrale non esistono assoli strumentali. La fila dei bandoneones suonano a tratti al melodia, ma per lo più conserva un ruolo prettamente ritmico e milonghero; solo il violino si stacca in maniera delicata in qualche sporadico assolo o controcanto. L'effetto di questa sezione ritmica è quello di un raffinato suono a metà tra bandoneon e violino.

Un effetto estremamente adatto al tango ballato, come si può ascoltare nella bella interpretazione di 9 puntos, esempio diamantino dello stile di Di Sarli, col suo ritmo trattenuto, il suono violino/bandoneon in funzione ritmica, il poderoso pianismo che tutto raccorda sui bassi ed articola tra i quarti con i suoni più acuti.


9 Puntos, 1956

Il pianoforte pilota tutta l'esecuzione, con suggerimenti ricamati nella sezione della tastiera che uniscono i tempi dei brani in forma estremamente delicata ed elegante. Questa caratteristica divenne la firma peculiare delle interpretazioni di Di Sarli.

Indio Manso, 1958

La grande personalità romantica di Di sarli rimase per sempre specchiata nella musica e nel
temperamento delle sue composizioni, di numero non imponente, ma immediatamente riconoscibili e sempre godibilissime.
La sua feconda inventiva è rintracciabile soprattutto nel lavoro dedicato alla mano sinistra del suo strumento, con la quale ideò una forma espressiva, di accentuazione, di modulazione difficilmente eguagliabile. Si noti in particolare il suo modo di 'bordoneare', ovvero di trasporre all'estrema sezione sinistra della tastiera del pianoforte il ruolo che era stato, agli albori del tango, quello delle corde basse della chitarra.

Con Alma Y Vida, canta Jorge Durán, 1945

Con il caratteristico stile della sua mano sinistra Di sarli riuscì a rendere il raffinato melodismo di Fresedo in forma milonghera, 'con odore di cherosene', come diceva della sua musica Anibal Troilo, riferendosi agli odori tipici dei conventillos, dove tutto funzionava con quel combustibile, riempiendo l'aria.

La Racha, 1947

Un suono unico quello dell'orchestra di Carlos Di Sarli, in fin dei conti inalterato nelle sue strutture musicali e nella sua intenzione espressiva lungo tutta l'attività del direttore e pianista, che ha alfine prodotto un repertorio di ineguagliata eleganza e qualità, di ispirazione per molti altri musicisti, come Florindo Sassone e, più recentemente l'Orquestra Tipica Gente de Tango e l'Orquestra Tipica Fervor de Buenos Aires. Tuttavia il suono di Di Sarli conserva una formula quasi magica e non eguagliata; lo stesso Troilo, alla morte di Di sarli, disse che "il cieco s'è portato il segreto nella tomba".



Tutti i musicisti ed i ballerini di tango con qualche esperienza riconoscono l’orchestra di Carlos Di Sarli dopo aver ascoltato pochissime battute di una sua esecuzione. Il suono di Di Sarli accompagna un pò tutti quelli che si avvicinano al tango fin dagli esordi, giacchè un pò per il ritmo regolarissimo e un pò per l’apparente semplicità strumentale, moltissimi insegnanti di tango ballato lo tengono in gran conto nell’accompagnare le proprie lezioni. Ma sarebbe comunque una grande ingenuità pensare alla musica di Di Sarli come a musica per ‘principianti’; possiamo invece dire che la complessità espressiva e strumentale del musicista emerge man mano che l’esperienza in milonga va accrescendosi.

Non è casuale che nel repertorio di grandissimi ballerini Di Sarli rappresenti un passaggio inevitabile, e che la sua esecuzione nel ballo.
A titolo di esempio, l'interpretazione di Gustavo Naveira e Gyselle Anne di El Amanecer.

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Lo stile - La rivoluzione conservatrice di Juan D'Arienzo

La figura di Juan D'Arienzo  rappresenta sicuramente uno spartiacque nella storia del tango. A lui si deve l'affermazione di uno stile che dalla metà degli anni '30 rappresentò un modello quasi obbligato per le orchestre sue contemporanee, una maniera interpretativa unanimemente considerato come un secondo inizio per il tango stesso, nonostante i variegati giudizi prettamente musicali che sono stati dati sulla sua produzione.
Pur non recando innovazioni tecniche di grande spessore, il suo tango si pose alla base del rilancio della musica bonaerense in un frangente particolarmente delicato, tanto che molti lo ritengono il vero apripista per la straordinaria decade d'oro del tango.

È infatti vero che, almeno come punto di partenza e stimolo, lo strepitoso successo della sua orchestra rappresentò un ingrediente probabilmente decisivo nell'affermarsi della più celebrata e numerosa generazione di musicisti di tango, quella della decade del '40.

Proviamo ad individuare i tratti salienti della sua 'rivoluzione', con particolare riguardo agli anni in cui essa nacque e si diffuse.

1935, un anno di svolta

Horacio Salas ha molte ragioni per considerare il 1935 come un anno di particolare rilevanza nella storia del tango. Il 24 giugno Carlo Gardel era perito in un incidente aereo a Medellin, in Colombia, ed il tango nella sua interezza corse il rischio di essere seppellito con lui, e non solo per la tragica scomparsa del suo cantore più celebre.
Carlos Gardel all'imbarco del suo ultimo tragico volo
La metà degli anni '30 vedeva la musica rioplatense rappresentata da due correnti ben distinte e per tanti versi concorrenti, da un lato la cosiddetta guardia vieja, il cui carattere prettamente tradizionalista era incarnato in primo luogo dalle figure di Francisco Canaro e Roberto Firpo, e dall'altra il versante 'evoluzionista' della guardia nueva, facente capo a Julio De Caro ed ai musicisti della sua scuola.
Ora, ciascuna a suo modo, entrambe le linee stavano contribuendo a far perdere smalto al tango, nel senso di un progressivo allontanamento dai caratteri musicali che i tanti cultori del suo spirito originario ritenevano insostituibili. Nella sostanza ciò si traduceva  in un ridotto interesse del pubblico verso l'evento tango, e quindi in una più scarsa frequentazione dei locali in cui si suonava e si ballava quella musica.

Sia la linea tradizionalista che quella decareana andavano vieppiù adottando un ritmo piuttosto lento, allontanandosi dalla classica pulsazione in 2/4 tramite cui tanta parte del tango delle origini si era caratterizzato. Segnatamente, si può aggiungere che la guardia vieja, portatrice di stilemi saldamente ancorati alle origini, non pareva corrispondere più completamente al gusto di un pubblico che si era via via raffinato, e a cui le consuete melodie, gli svolgimenti armonici prevedibili e l'arrangiamento spesso poco fantasioso parevano non essere ragioni sufficienti per riempire le sale da ballo come accadeva dieci o quindici anni prima.
L'Orquesta di Roberto Firpo in registrazione 

Dal suo canto, anche la musica di De Caro e seguaci, fitta di ricercatezze stilistiche e raffinatezze strumentali, con quello estilo pausado più incline a farsi ascoltare che non a nutrire la danza dei tangueri, contribuì via via ad un certo appannamento del fenomeno tango così come lo si era conosciuto fino a qualche tempo addietro.
Si consideri, in aggiunta, l'importanza progressivamente assunta dai cantanti nelle orchestre, e la conseguente perdita di mordente della musica a vantaggio di un sentimentalismo da canzone che con Gardel giunse al suo culmine.

Naturalmente De Caro, Firpo e soprattutto Canaro sono ancora oggi musicisti massimamente apprezzati, e non gli si può addossare la responsabilità o l'intenzione di aver progressivamente svuotato lo spirito del tango; sovente i processi di trasformazione avvengono ben al di là delle intenzioni degli occasionali attori che in essi agiscono. Sia quel che sia, capitò che la musica più lenta, o più difficilmente adattabile al ballo, un certo logorìo degli arrangiamenti tradizionali e l'imporsi di una forma canzone in cui le belle voci divenivano protagoniste assolute a scapito dell'orchestrazione, tutto ciò andò restringendo il pubblico delle milonghe e, soprattutto, portò i ballerini a sedersi ad ascoltare la musica più che a ballare.

Le interpretazioni di Juan D'Arienzo precedenti a quel 1935, anno a cominciare dal quale si manifestò lo stile che lo ha reso celebre, non si discostano significativamente dal contesto appena descritto. Violinista di formazione (secondo alcuni non brillantissimo), aveva cominciato a suonare il tango fin da ragazzo in locali di second'ordine, come molti della sua generazione, accompagnato, tra gli altri, da un giovanissimo Angel D'Agostino al pianoforte.

Juan D'Arienzo, Angel D'Agostino ed Ernesto Bianchi nel 1912
Le incisioni di questo primo periodo della sua carriera non paiono particolarmente memorabili, dove anche l'approccio ritmico, piuttosto rallentato e più vicino al 4/8 che al 2/4, pare assai lontano dal D'Arienzo universalmente noto.

Pa Que Pensas, Orquesta Juan D'Arienzo, canta Carlos Dante, 1928


La sua attività tanghera, che man mano lo portò a dedicarsi solo alla direzione a scapito del violino, fu lungamente sviluppata in teatro, dove l'orchestra si dedicava all'accompagnamento delle operette e delle riviste. Fino alla metà degli anni '30, quindi, D'Arienzo lavorò frequentemente per il teatro, non incidendo particolarmente nell'ambiente del tango.

La nascita dello stile D'Arienzo

Tuttavia a D'Arienzo si deve il risveglio del mondo del tango, e questo grazie ad un radicale cambio di stile che da un lato entusiasmò i ballerini, e dall'altro spinse quasi tutte le altre orchestre a seguire i suoi passi. In estrema sintesi, si trattava di un'intuizione semplice quanto fulminante: ritmo, ritmo e ancora ritmo, con un ideale ritorno al tango delle origini, e poi un'arrangiamento volto ad eliminare i vuoti nella melodia. Le sospensioni e gli improvvisi silenzi, di cui la produzione di D'Arienzo è ricca, perdono il loro carattere espressivo e risultano piuttosto un modo per rimarcare l'inesorabile ritmica del brano.
Rodolfo Biagi

Quel che successe è in tanta parte legato al nuovo pianista dell'orchestra, quel Rodolfo Biagi che, dopo aver suonato nelle orchestre di Juan Maglio 'Pacho' e Juan Canaro ed accompagnato Gardel in alcune registrazioni del 1930, approdò proprio nel 1935 nell'orchestra di D'Arienzo. Il ritmo che Biagi impose alle esecuzioni, assai più serrato rispetto a quello dei suoi contemporanei, divenne in breve la cifra dell'orchestra, ma anche dei numerosissimi musicisti che di lì a poco andarono a ingrossare la schiera dei seguaci di D'Arienzo e del suo stile.
A titolo di esempio, si confrontino le due versione di El Flete nelle versioni del Quinteto Pancho diretto da Francisco Canaro e dell'Orquesta D'Arienzo.

El Flete, Quinteto Pancho, direttore Francisco Canaro, 1939



El Flete, Orquesta Juan D'Arienzo, 1936



El Flete, brano legato indissolubilmente a questa versione di D'Arienzo, è un perfetto esempio del suo stile, sia da un punto di vista strutturale che relativo dell'approccio interpretativo. L'impatto quasi aggressivo della musica di D'Arienzo è forse ancora più evidente nei brani cantati, dove la voce stessa viene tenuta vicinissima allo scheletro ritmico del pezzo, quindi allontanandone a dismisura l'effetto complessivo dall'impronta sentimentale di alcune versioni anche contemporanee.

No Mientas, Orquesta Francisco Canaro, canta Ada Falcón, 1938


No Mientas, Orquesta Juan D'Arienzo, canta Alberto Echagüe, 1938


Altrettanto interessante è il confronto tra la vigoria sua versione di Paciencia e quella de "la voz sentimental de Buenos Aires" Agustin Magaldi Paciencia, Agustin Magaldi, 1938


Paciencia, Orquesta Juan D'Arienzo, canta Enrique Carbel, 1937



Questa nuova impostazione ritmica pare dovuta, secondo diverse testimonianze convergenti, ad un evento in qualche modo occasionale. Capitò che il compositore Pintin Castellanos portasse a D'Arienzo un nuovo brano, La Puñalada, e che i musicisti dell'orchestra consigliassero al direttore di ravvivarne l'esecuzione portandone il tempo di 4/8 a 2/4. D'Arienzo si dimostrò fermamente indisponibile a toccare l'aspetto ritmico del brano, che quindi entrò nel reperorio con il tempo caratteristico della prima parte degli anni '30. Tuttavia l'occasione di sferzare il tempo del tango si presentò di lì a poco. Come era d’abitudine per i  direttori dell'epoca, anche D’Arienzo arrivava nei locali dove suonava la sua orchestra più tardi rispetto ai musicisti, che quindi suonavano senza direttore per i primi sparuti avventori, in attesa che la milonga si popolasse e che arrivassero i ballerini più quotati. Durante una di questi inizi di serata i musicisti interpretarono proprio La Puñalada. Bene, non è dato sapere se sia stato per scherzo, per noia e per intenzione, ma Rodolfo Biagi guidò il brano ad un ritmo sferzante ed aggressivo, arricchendolo con quegli abbellimenti del pianoforte che diverrano la sua evidentissima firma stilistica. Il pubblico accolse il brano con particolare entusiasmo, tanto da reclamare, alla sua riesecuzione con D'Arienzo alla direzione, di poterne riascoltare la versione nervosa e velocizzata della prima parte della serata. Alcuni ritengono che tutto ciò avvenne sul tango 9 de Julio, ma la sostanza non cambia: D'Arienzo terminò la serata conducendo a quel ritmo e con l'energia che evidentemente avvertiva sprigionarsi tra il nuovo stile ed il pubblico, che acclamava ed esigeva pezzo dopo pezzo quel nuovo modo di dispiegarsi del tango.


Da allora l'orchestra di Juan D'Arienzo conobbe un improvviso e notevolissimo successo, probabilmente sorprendendo lo stesso direttore, tanto da diventare la più seguita dai ballerini, ed in forme spesso di vera e propria acclamazione. Strumentazione ed  arrangiamento al servizio del ritmo In sostanza, è possibile dire che D'Arienzo recuperò l'aspetto ritmico della fase pionieristica della guardia vieja, riproponendo uno stile bien marcado che si caratterizza nell'accentuazione di tutti i quarti della battuta, con la contestuale e notevole velocizzazione del tempo di esecuzione. La frequenza di pulsazione delle sue esecuzioni rimane sempre a due battiti al secondo, descrivendo una struttura ritmica che si impone come elemento essenziale del brano. Prendiamo ad esempio la bella Pensalo Bien, brano molto amato in cui il pathos, pure presente, è messo in sordina dalla quadratura ritmica e da un riempimento strumentale che non lascia alcun vuoto nella melodia, se non i consueti silenzi e sospensioni darienziani, di evidente utilità ritmica più che espressiva.

Pensalo Bien, Orquesta Juan D'Arienzo, canta Alberto Echagüe, 1938


Considerando questa impostazione da un punto di vista musicale, è evidente che a perderci siano l'originalità e l'espressività degli arrangiamenti, per lo più piegate ad una cura dell'aspetto ritmico che, benchè oggetto degli strali di molti altri musicisti, divenne l'elemento chiave del suo successo. Come nota Luis Adolfo Sierra, lo stile di D'Arienzo è tutto in un
rigido marcare, tagliare, accellerare, in un movimento incessante nel contrasto tra 'staccato' e silenzi, con rapidi passaggi di un pianoforte che enfatizza con la mano destra il soggetto o il tempo di una melodia, nella stessa forma esecutiva... tecnicamente semplice, ma impreziosita da una notevole capacità strumentale.
Più che attraverso peculiarità tecniche, quindi, lo stile di D'Arienzo si andò definendo nella particolare modalità esecutiva che egli volle imprimere alla sua orchestra, il cui tratto essenziale vediamo risiedere nella ricerca costante della marcatura energica e dell'artificio ritmico di un tempo notevolmente accelerato. Dal punto di vista dell'arrangiamento, le esecuzioni di D'Arienzo mostrano quasi sempre lo stesso schema: sullo staccato del pianoforte (spesso a solo) o degli altri strumenti, volto a determinare inesorabilmente la quadratura ritmica battuta per battuta, si innesta invariabilmente l'assolo di violino in quarta corda ed in chiusura le variazioni in assolo dei bandoneones. Seppure con il passare degli anni le scelte musicali di D'Arienzo divennero più interessanti, egli non cambiò mai il modo di trattare l'aspetto ritmico. Comparve, specie nelle esecuzioni degli ultimi vent'anni della sua carriera, qualche timida attenzione in più per il chiaroscuro e per soluzioni armoniche un pò più inventive. Tuttavia si tratta di aggiornamenti stilistici marginali, forse determinati principalmente dalla necessità di mantenere un qualche mercato durante gli anni più bui del tango (dopo la metà degli anni '50), e che non intaccano comunque la fedeltà dell'Orquesta di D'Arienzo al suo approccio interpretativo originario. In questo senso è possibile scegliere liberamente tra le centinaia di incisioni che D'Arienzo ebbe modo di realizzare lungo quarant'anni senza trovare disomogeneità di stile e d'impatto, sempre formidabile dal punto di vista ritmico. Ciò sia detto al netto del differente valore estetico intrinseco ad un brano piuttosto che all'altro, e del suono, che dagli anni '30 a metà degli anni '70 cambiò notevolmente in tutta l'industria discografica, sia dal punto di vista della qualità di registrazione che dal punto di vista degli effetti utilizzati, a secondo del 'gusto sonoro' delle diverse epoche.

Derecho y Viejo, Orquesta Juan D'Arienzo, 1939


Tango Brujo, Orquesta Juan D'Arienzo, canta Hector Maure, 1943


Yapeyu, Orquesta Juan D'Arienzo, 1951


Loca, Orquesta Juan D'Arienzo, 1955


Quejas De Bandoneón, Orquesta Juan D'Arienzo, 1963

Este Es El Rey, Orquesta Juan D'Arienzo, 1971
Si noti, tra l'altro, il larghissimo uso delle sospensioni e degli improvvisi silenzi a prescindere dall'epoca delle interpretazioni, ed il fine ancora una volta scopertamente ritmico di questi espedienti. Tra gli esempi più celebri è bene segnalare le quattro versioni de la Cumparsita, le cui repentine interruzioni insieme alla proverbiale marcatura sferzante dei tempi rappresentano una vera sfida per i ballerini. La Cumparsita, Orquesta Juan D'Arienzo, 1951
È opportuno sottolineare ancora l'importanza che il pianoforte di Biagi ebbe in questa vicenda, tanto che nel 1938, quando il pianista formò la sua propria orchestra, D'Arienzo volle che il nuovo pianista, Fulvio Salamanca, replicasse lo stile di Biagi, come è evidente dalle registrazioni dell'epoca. Ancora in un'intervista del 1975 il direttore affermava che
La base della mia orchestra è il piano. Lo credo irrimpiazzabile.
Rodolfo Biagi
Fulvio Salamanca
Questo è senz'altro vero, visto il lavoro che lo strumento si prova ad assolvere  lungo tutto il brano. Ed è altrettanto vero che le caratteristiche del pianoforte dell'Orchestra di D'Arienzo sono costanti e facilmente riconoscibili: frequenti passaggi che sottolineano, perlopiù con la mano destra, il tema della melodia del brano, ed un largo indugiare in ornamenti e controcanti molto evidenti ed accentuati. Elementi che si rilevano nelle incisioni con Biagi come in quelle realizzate con i diversi pianisti che si avvicendarono nell'orchestra dagli anni '30 sino alle ultime esecuzioni. Tuttavia, al di là delle affermazioni dello stesso direttore ed al di là del ruolo che lo stile di Biagi portò alla sua modalità interpretativa, bisogna notare che tutta l'orchestra tesse sempre con buon mestiere la trama del suo stile nervoso ed energico, su cui spiccano veri preziosismi strumentali delle esecuzioni di D'Arienzo,  quelli dei nei due bandoneones, particolarmente efficaci nelle consuete variazioni finali, sempre impeccabili ed estremamente coinvolgenti. Controverso fu invece il suo rapporto con i cantanti, responsabili, a suo dire di tanta parte della decadenza del tango.
Secondo me la maggior colpa per il declino del tango è da attribuire ai cantanti. C’è stato un momento in cui l’orchestra di tango non era altro che un mero pretesto per l’esibizionismo del cantante. I musicisti, incluso il direttore, non erano altro che gli accompagnatori di una cosa simile ad una star popolare. Per me questo non deve accadere. Il tango è anche musica, come già detto. Vorrei aggiungere che è essenzialmente musica. Di conseguenza l’orchestra, che questa musica la suona, non può essere relegata a fare solo da contorno alle luci della ribalta del cantante. Al contrario la musica è per le orchestre e non per i cantanti. La voce non è, non dovrebbe essere altro che uno strumento aggiunto dell’orchestra. Sacrificare tutto alla gloria del cantante, alla star, è un errore. Io ho reagito all’errore che ha causato la crisi del tango ed ho messo l’orchestra in primo piane ed il cantante al suo posto. Inoltre, ho usato come soccorso al tango la sua forza maschile, che era stata persa nel susseguirsi degli eventi. In questo modo nelle mie interpretazioni ho marcato il ritmo, il nervo, la forza e il carattere che si distinguono nel mondo della musica e che erano stati abbandonati per i motivi di cui sopra. Fortunatamente, questa crisi è stata temporanea, ed oggi il tango ha ripreso quota, il nostro tango, con la vitalità dei tempi migliori. Il mio orgoglio maggiore è di aver contribuito al rinascimento della nostra musica popolare.
In realtà, come altre volte accadde, D'Arienzo contraddisse spesso queste sue stesse parole. Sebbene il cantante abbia nei primi anni di carriera esattamente il ruolo che qui si enuncia, neppure D'Arienzo si sottrasse, a partire dalla fine degli anni '50, dal mettere in primo piano l'interpretazione della voce, secondo un gusto che avrebbe portato il tango ad una crisi più profonda di quella dell'inizio degli anni '30. Tuttavia è interessante l'esposizione del suo pensiero relativamente al ruolo dell'orchestra, e difficilmente è possibile dissentirne. Ballerini e musicisti
Lo stile che D'Arienzo inaugurò a metà degli anni '30 fu a suo modo una vera svolta, e le sue conseguenze sono ancora lì a testimoniarlo. Tuttavia ha ragione Marco brunamonti a parlare di una rivoluzione conservatrice, perché in definitiva di questo si è trattato, di un recupero dello spirito del tango delle origini condito da una formidabile sferzata ritmica. L'obiettivo è piuttosto evidente: fornire nuovamente un supporto ritmico costante e sicuro ai ballerini, ed indurli a ritornare ad affollare le piste da ballo. D'altronde è lo stesso D'Arienzo a riaffermare più volte pubblicamente quale sia l'architrave della sua concezione musicale. In questo senso è molto interessante quanto disse in un intervista per la rivista Aquí Está, nel 1949.
Dal mio punto di vista, il tango è, prima di tutto, ritmo, nervo, forza e carattere. Il tango delle origini, quello della vecchia guardia, aveva tutte queste caratteristiche, e noi dobbiamo cercare di non perderle mai. Da quando le abbiamo perse, alcuni anni fa, il tango argentino è entrato in crisi. Modestie a parte, ho fatto tutto il possibile per far in modo che ritornasse in auge.
E molto più tardi, pochi mesi primi della morte, in anni in cui il tango aveva conosciuti altre crisi, altre svolte, approdando a sponde musicali diverse, fino all'avanguardia di Piazzolla
Se i musicisti ritorneranno alla purezza dei due quarti, si ravviverà nuovamente il fervore per la nostra musica e, grazie ai moderni mezzi di diffusione, raggiungeremo un’importanza mondiale
Nella stessa intervista del 1975 citata più sopra, D'Arienzo diceva anche che
...il quarto violino diventa un elemento vitale. Deve suonare come una viola o un violoncello. Io formo il mio gruppo con il piano, il contrabbasso, cinque violini, cinque bandoneones e tre cantanti. Mai meno elementi. Mi è capitato in alcune registrazioni di impiegare fino a dieci violini.
Ora, se  è vero che nella produzione di D'Arienzo si trovano numerosissimi brani capaci di trascinare letteralmente i ballerini in pista, e che la loro freschezza è tuttora sorprendente, tutto questo dispiegamento di strumenti pare non giustificabile a fronte del risultato ottenuto, così come pare eccessivo avere un artista come Cayetano Puglisi al primo violino. Naturalmente questo vale da punto di vista strettamente legato alla qualità musicale, che per moltissimi appassionati di tango rappresenta solo una componente (a volte trascurabile) nel fascino di un tango; tuttavia, non è inutile confrontare le registrazioni di D'Arienzo con quelle, ad esempio, di Troilo, per non dire di Pugliese, realizzate con la stessa formazione strumentale e nella stessa epoca, per apprezzare questa differente qualità. Tuttavia D'Arienzo rimane una figura apprezzatissima (ed a volte addirittura venerata) ieri come oggi dai ballerini. Ed il punto essenziale della sua rivoluzione abbiamo visto essere proprio qui, nel fatto che essa fu tutta orientata ai ballerini, proponendo una modalità di suonare il tango essenzialmente rivolta al ballo.
Questa caratteristica della sua musica, da lui stesso più volte orgogliosamente rivendicata, è alla base dei pareri non benevoli che i musicisti (ed i ballerini) più attenti al 'fatto musicale' rappresentato dal tango, al di là della sua funzione 'da sala', hanno levato verso l'opera del direttore. Pare opportuno quindi notare che, accanto al grande merito di aver fatto risorgere il tango secondo lo spirito delle origini e di aver riportando in pista una gran massa di ballerini, l'irrompere di D'Arienzo sulla scena è da considerarsi assai meno positivamente da un punto di vista più schiettamente artistico. La sua modalità interpretativa si pone frontalmente contro la corrente evoluzionista del tango, mettendo tra parentesi le esperienze di De Caro, Fresedo, Maffia, Cobiàn, insomma della musica più espressivamente articolata e artisticamente feconda, a prescindere dal giudizio estetico che se ne voglia dare. In definitiva si può dire che D'Arienzo fece proprio un certo modo regressivo di intendere l'uso della strumentazione e dell'arrangiamento, a tutto vantaggio dell'aspetto ritmico, che si protrasse sino al termine della sua vita, e che gli valse addirittura l'epiteto di "demagogo del tango" da parte di alcuni. Quest'ultimo giudizio, che dipinge un D'Arienzo interessato unicamente al successo di pubblico, pare francamente ingeneroso: pur con le critiche (assai legittime) che possono essere levate alla sua musica, rimane il fascino dei suoi incastri ritmici, entro cui non sono rari i preziosismi armonici, nonché il merito di aver elevato un certo spontaneismo un pò ingenuo della guardia vieja al rango di stile musicale. Impatto del darienzismo Al netto delle polemiche che fin dall'esplodere del fenomeno D'Arienzo accompagnano la sua controversa figura, a partire dalla metà degli anni '30 accadde che tanta parte del pubblico preferì di gran lunga lo stile della sua Orchestra a tutte le altre sue contemporanee, anche al fine dell'ascolto. La conseguenza di ciò fu che quasi tutti i musicisti che operarono da metà degli anni '30 a metà degli anni '40 e oltre, per non perdere la maggior parte del loro pubblico e quindi anche la possibilità di vivere con la loro musica, si risolsero a mettere la sordina alle proprie specifiche esperienze e caratteristiche interpretative, accelerando in maniera generalizzate le proprie esecuzioni.     
Orquestra Juan D'Arienzo, 1937
Il darienzismo di quegli anni è evidente in quasi tutte le registrazioni giunteci: Fresedo, De Caro, Laurenz, lo stesso Canaro alzarono di moltissimo la frequenza del loro metronomo; Troilo, che incideva in quel periodo le sue prime esecuzioni, superò spesso il valore di 2 battiti al minuto, pur conservando la qualità musicale che fin da allora brillava nella sua musica; addirittura Di Sarli abbandonò brevemente il suo stile trattenuto per seguire la scia del fenomeno dell'epoca. Racing Club, Orquesta Carlos Di Sarli, 1940
Comme il Faut, Orquesta Anibal Troilo, 1938
Sempre nell'intervista del 1975 traspare la consapevolezza del ruolo avuto lungo la storia del tango, benché condita da una qualche dose di presunzione forse fuori tempo in un'epoca in cui tante esperienze musicali si erano sviluppate e consumate.     
I giovani mi amano. A loro piacciono i miei tanghi perchè sono nervosi, ritmici. La gioventù è proprio questo, felicità e movimento. Se gli suonassi un tango melodico e non ritmato, sicuramente non gli piacerebbe, questo è quel che succederebbe. Oggigiorno ci sono buoni musicisti e grandi orchestre che pensano di suonare tango, ma non è così, se non hanno ritmica non c'è tango. pensano di poter rendere popolare un nuovo stile, e magari vi riescono avendo un colpo di fortuna, ma io continuo a pensare che senza ritmo non c'è tango. Come professionisti li rispetto, ma quello che fanno non è tango. E se mi sbaglio vuol dire che sono più di cinquant'anni che mi sbaglio.
Si aggiunga anche una cifra caratteriale assai spumeggiante, se non istrionica, e le seguenti affermazioni relative al suo stesso ruolo nella storia del tango appariranno in quadro coerente.      
Ancora nel 1937 erano in auge direttori che erano anche dei veri signori: Osvaldo Fresedo, Julio De Caro; ma il loro tango non era da ricordare. Poi io suonai ad un ritmo differente, ed il tango tornò al posto che gli spettava.
Quando nel 1936 salvai il tango dalla bancarotta, mille orchestre e mille locali fiorirono e si arricchirono con il ballo. Dovrebbero farmi un monumento in Plaza de Mayo.
Io ho il polso della gente, interpreto i loro sentimenti. Ed essere uno del popolo è molto difficile. Chiunque può essere famoso senza essere uno di loro. Identificarsi con i desideri della massa è molto complesso.
Al netto dell'aspetto un pò sopra le righe di alcune dichiarazioni, rimane vero il senso di quanto affermato da D'Arienzo, ovvero quello di una fedeltà costante ad uno stile tutto rivolto ai ballerini, e meno ai musicisti ed alla loro arte, tanto da essere spesso ripagato da questi con la stessa moneta. In questo senso, uno dei giudizi più spietati fu quello di Astor Piazzolla.
Ascoltavo D'Arienzo e mi si rizzavano i capelli. Era terribile, una barbarie, l'antimusicalità.
In realtà, nessuno può dire cosa avrebbe riservato la storia al tango senza la comparsa di D'Arienzo, figura discussa ma con cui chiunque appartenga alla comunità del tango deve, a titolo diverso, deve fare i conti. È significativo l'aneddoto secondo il quale Anibal Troilo, trovando i suoi musicisti che, ascoltando D'Arienzo in una trasmissione radiofonica, ne irridevano l'ossessione di accentuare ogni battuta ed in generale lo stile poco espressivo, ebbe a dire
Ridete, ridete pure, ma senza di lui nessuno di noi sarebbe qui a fare ciò che fa
In definitiva è bene dare a D'Arienzo il riconoscimento che merita, per l'energia che la sua musica da ballo continua a conservare intatta ed a trasmettere, per il piacere che quasi tutti i ballerini provano muovendosi sulle sue interpretazioni. Un'energia che i rari documenti dell'epoca ci propongono come consustanziale alla sua persona ed al suo stesso stile fisico di direzione.  

Come si è già detto, è molto probabile che il tango così come siamo abituati a pensarlo non vi sarebbe stato senza la musica di D'Arienzo; basti pensare all'enorme crescita del fenomeno tango che egli determinò, fornendo in tal modo la possibilità di incontro, confronto, tensione creativa e sfida espressiva tra centinaia di musicisti diversissimi tra di loro ma accomunati dallo stesso fecondo ambiente creativo della decade d'oro.

Se è vero che il rinascimento del tango è legato in primo luogo a figure come Pugliese e Troilo, grazie a cui il tango smise di essere solo un ballo per avviarsi a diventare un vero e proprio genere musicale, è altrettanto vero che lo stimolo rappresentato da D'Arienzo per i suoi contemporanei e non solo è un merito da riconoscergli senza esitazioni. E gli viene infatti palpabilmente riconosciuto, in primo luogo dai ballerini di tutte le latitudini ogni volta che una sua tanda viene fatta risuonare nelle milonghe.

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Appunti, riflessioni ed approfondimenti sul Tango e la sua Musica. Tutto il materiale è da intendersi a scopo didattico, e senza fini di lucro, con unico fine la diffusione della cultura del Tango Argentino.

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